Il mondo delle ostriche
Presente da 150 milioni di anni sul nostro pianeta, l’ostrica può essere considerata come “la regina dei molluschi”.
Tale fama, per questa materia prima, non deve essere una sorpresa.
Proprio per questa ragione, noi dello staff di ilovetartare vogliamo accompagnarvi alla scoperta del mondo delle ostriche attraverso un unico fil rouge.
Vi racconteremo la storia dei molluschi bivalvi dalla conchiglia tondeggiante, partendo dalle origini fino ai giorni nostri. Pensate che gli antichi Greci ritenevano l’ostrica un potente afrodisiaco. I Romani, invece, si spingevano sino alle coste della Bretagna alla scoperta del mondo delle ostriche.
Analizzeremo insieme le caratteristiche del prodotto, la sua anatomia e le differenti specie. Di quest’ultime, solo in Europa, se ne contano più di 200.

Tanto spazio sarà dedicato anche alla curiosità. Lo sapete che mangiando solo 100 g di ostriche otteniamo metà del nostro fabbisogno calorico quotidiano?
A tal proposito, dedicheremo anche un focus speciale al settore del food and beverage: come aprire un’ostrica e come esaltare il suo gusto con abbinamenti di cibi e bevande.
Ma per apprezzare la regina dei molluschi, bisogna anche conoscere chi sono i suoi cavalieri. Parleremo della figura dell’ostricaio e di come sia cambiata nel corso del tempo contestualizzandola nell’epoca contemporanea. Vi sveliamo sin da subito un aneddoto: a Napoli, terra di mare, i punti di vendita delle ostriche erano dipinti di verde, giallo o nero. La ragione? Per essere più visibili e facilmente individuabili dai cittadini ma anche dai turisti!
Vi appassioneremo così tanto alle ostriche che presto vorrete saperne sempre di più sull’ostricoltura,
pratica dell’acquacoltura che prevede l’allevamento delle ostriche per il consumo umano.
Il nostro obiettivo è quello di farvi conoscere il mondo delle ostriche per poi esaltare le vostre esperienze sensoriali.
Ma non vogliamo svelarvi altro, prendete questi spunti come un punto di partenza, anzi, come un aperitivo di quello che sarà il nostro lungo viaggio alla scoperta del mondo delle ostriche.
Alla scoperta del caviale
Ben ritrovati amici di ILoveTartare! Se siete capitati su questo articolo significa che la vostra curiosità vi ha portato fin qui. Questa volta ci concentreremo sul caviale e su tutto quello che c’è da sapere su questo prodotto.
Nei diversi paesi del mondo il nome caviale si può riferire a prodotti molto differenti tra loro, ma secondo il Codex Alimentarius, elaborato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dalla FAO, il caviale è il prodotto preparato da uova ottenute dagli storioni, pesci appartenenti alla famiglia Acipenseridae.

Cosa bisogna sapere sul caviale?
Proviamo a darvi qualche cenno sul caviale con un breve excursus.
STORIA – Il consumo del caviale nasce nella Russia negli inizi del ‘900 come cibo altamente proteico e calorico per nutrire l’esercito durante le sue marce. In seguito, negli anni ’20 i fratelli Melkoum e Mouchegh Petrossian portarono le uova di storione a Parigi e fu lì che le ‘pepite’ nere fecero il salto dalla gavetta all’alta società. Negli anni ’50 con “Caviale e Lenticchie” si rappresentava già il gap tra le classi sociali italiane, a teatro.
LE TIPOLOGIE – Le varietà di storione sono circa 25, di queste solo 8 o 9 sono quelle allevate per il caviale, tra queste le più note sono il Beluga, l’Ossietra (che in realtà è un nome di fantasia con molte varianti – Osetra, Oscietra o Asetra – che comprende una varietà di storioni), il Baeri, lo Storione bianco, il Sevruga, lo Starletto o stellato, l’Amur. A queste si aggiungono incroci e specie locali a volte usate nell’allevamento o per piccole produzioni. Per la maturazione del caviale, ovvero perché questi ovociti siano buoni da mangiare, bisogna aspettare molto. Ad alcune varietà di storione, le più “veloci”, bastano 8 o 9 anni, ma in media siamo sui 12 anni di attesa; per il Beluga, non a caso il caviale più pregiato, parliamo di almeno 23 anni. Lo storione è un pesce primordiale, se lo lasciassimo vivere, vivrebbe oltre cent’anni e la sua ovulazione avviene ogni due anni, a volte anche ogni quattro, rendendo per l’allevatore una scelta costosa il decidere o meno se “estrarre il caviale”.
IL PRODOTTO FINALE – In media le uova sono il 20% del peso di uno storione femmina. Prelevate, le uova vengono etichettate per calibro, colore, razza e allevamento; l’etichetta le seguirà in ogni passaggio della produzione fino alla vendita al dettaglio. Poi il caviale viene messo in grandi latte tonde, del tutto simili alla scatoletta finale, ma che contengono circa due chili di prodotto.
IL PREZZO – Il costo di questa materia prima varia tra i 1800 e i 6000 euro al kg. La differenza di prezzo la fa ovviamente il marchio, ma anche l’età dello storione conta, perché chi lo alleva deve rifarsi delle spese di mantenimento del primate. Le “selezioni” imperial in generale sono ottenute da pesci vecchi anche 25 anni.
Pensate di aver soddisfatto tutte le vostre curiosità sul caviale leggendo solo questo articolo? Vi sbagliate di grosso! Ma state tranquilli perché su ILoveTartare.com potrete trovare tutti gli articoli che faranno al caso vostro.
Il mestiere dell’ostricaio
Noi di ilovetartare.com abbiamo analizzato, negli scorsi articoli, il mondo delle ostriche. Questa volta, vi parliamo del mestiere dell’ostricaio nella città di Napoli.

Il profilo dell’ostricaio
‘O stricario, a differenza del maruzzaro, non era un semplice venditore, ma un esperto intenditore di frutti di mare: con attenzione certosina, raccoglieva personalmente le ostriche dagli scogli, per poi servirle ai clienti già aperte e pronte per essere mangiate. Arte nobile, che non era destinata a tutti ma veniva tramandata per discendenza diretta, di padre in figlio: solo in casi eccezionali passava a coloro i quali venissero giudicati particolarmente meritevoli. Questo bizzarro signore, reggendo sulla testa un grosso bacile, si incamminava per le vie del centro, provando a sedurre le persone in strada con l’odore del mare. Attratte dalla voce che l’uomo lanciava e inebriate dal profumo dei frutti di mare, gli acquirenti accorrevano numerosi per assaporare le ostriche appena pescate.
Un simbolo dei tempi andati?
L’ostricaio è una delle tante figure che si fanno spazio nella Napoli del passato. Soppiantata anch’essa dalla modernità, assieme a molte delle tradizioni che hanno reso la storia partenopea ricca e variopinta. Tale figura ancora si muove nei ricordi di qualcuno, vagando tra le strade oniriche di una città, ormI, vintage. Nata come epifenomeno dell’indigenza in cui la popolazione versava, la figura dell’ostricaio si fa simbolo oggi della resistenza napoletana. Questa professione infatti è da intendere come l’ennesima affermazione della creatività dei partenopei che per sopravvivere alla miseria del dopoguerra dovettero giocare di astuzia e fantasia. A differenza di tutti gli altri antichi mestieri che la memoria di Napoli custodisce gelosamente, quello dell’ostricaio non è mai stato replicato altrove, ragion per la quale resta oggi un eterno simbolo dello spirito d’intraprendenza napoletano.

L’ostricaio nella Napoli moderna
Orfano di un tempo che non esiste più, l’ostricaio nella Napoli moderna è un fantasma sullo sfondo. Quel che resta della sua figura è un ricordo sbiadito che tuttavia ha aperto la strada alla tradizione che oggi ci è familiare.
Sebbene siano in pochi oggi a ricordarne l’esistenza, il mestiere dell’ostricaio ha contribuito a rivoluzionare, su due piani paralleli, il concetto di creatività e quello di lotta, divenendone il perfetto rappresentante e costruendo, assieme agli altri figuranti della Napoli antica, un manifesto di resistenza popolare. La tradizione attuale, ad ogni modo, attinge continuamente alla stravagante figura dell’ostricaio che torna a vivere nei racconti popolari e negli aneddoti di chi ne ha memoria.
E voi, cosa ne pensate di questa affascinante mestiere? Fatecelo sapere nei commenti qui sotto!
Le 50 sfumature di ostriche
Dopo aver ripercorso le tappe storiche dell’ostrica e del suo legame con l’uomo, è giunto il momento di usare la lente d’ingrandimento e di focalizzarci sulle sue tante caratteristiche. Il titolo di questo articolo, “Le 50 sfumature di ostriche” non è certo lasciato al caso. Noi di ilovetartare.com cercheremo, come al solito, di non annoiarvi e di rendere questo nuova tappa del viaggio interessante come non mai!
Le caratteristiche
Le ostriche sono note sin dall’antichità per il loro pregiato gusto e per la capacità unica di produrre perle. Ma non solo: le ostriche sono considerate come un potente cibo afrodisiaco. Nel dettaglio, stiamo parlando di un mollusco con conchiglia esterna composta da due valve che hanno una forma variabile; generalmente sono tondeggianti e vengono tenute assieme da una sorta di cerniera. La conchiglia è circolare, rugosa e ineguale; l’interno delle valve è liscio e di colore bianco, formato da materiale madreperlaceo. Esternamente la conchiglia è grigia, con macchie brune e viola. Può raggiungere un diametro di 15-20 cm, ma è molto comune trovarla attorno ai 6-9 cm. Il mollusco ha corpo di forma tondeggiante, con i margini dei due lembi del mantello frangiati. Come dicevamo prima, alcune ostriche, principalmente le specie dei mari orientali, producono perle. Acquistare ostriche, potrà essere un po’ caro, ma non difficile: si tratta di una materia prima facilmente reperibile (naturalmente non si comprano dal fruttivendolo). Benché non esiste un periodo dell’anno in cui l’allevamento di ostriche si interrompa, secondo gli esperti, il periodo migliore è quello che va da ottobre ad aprile.
Le varietà più diffuse
OSTRICA EUROPEA (Ostrea edulis) – Queste ostriche vivono nel mar Mediterraneo e se ne trovano diversi esemplari soprattutto nella parte settentrionale del mar Adriatico. Sono allevate principalmente per scopi gastronomici. Si differenziano dalle altre ostriche, presenti nei nostri mercati, per la forma delle valve, che sono tondeggianti e piatte. Tra le tipologie più care, ma anche tra le più saporite col loro gusto delicato.

OSTRICA PORTOGHESE (Crassostrea angulata) – Non lasciatevi ingannare dal loro fama di ostriche più economiche: benché siano meno pregiate e con carni dal sapore più forte, sono tra le più diffuse nei ristoranti portoghesi, spagnoli e italiani. Le loro conchiglie, ovali e concave, vengono “riciclate” e presentate in diversi piatti di pesce per la loro estetica.

OSTRICA GIAPPONESE (Crassostrea gigas) – Forse avrete visto questa specie in un ristoranti di sushi o magari in qualche manga nipponico. Anch’essa è meno pregiata e ha la conchiglia a forma ovale allungata con evidente concavità. Sono molto diffuse in Giappone ma anche in diversi ristoranti italiani. Il suo sapore è davvero forte e non è per tutti i palati.

OSTRICA PERLIFERA (Pinctada margaritifera) – Se siete degli amanti della Disney, allora sicuramente vi sarà capitato di vedere queste ostriche all’interno del film ‘La Sirenetta’, ‘Alla ricerca di Nemo’ o dell’ultimo capolavoro, targato Pixar, ‘Luca’, ambientato in Italia. Perché queste ostriche sono così famose? Per la loro produzione di perle! Si trovano nei mari più caldi e sin dall’antichità vengono chiamate perlifere. I pescatori, gli ostricai e i sommozzatori (ma anche i pirati) per secoli hanno sperato di trovare all’interno di queste ostriche delle perle dal pregiato valore. In caso non ci fosse nessun tesoro al loro interno, ci si può consolare con il loro sapore!

OSTRICHE FRANCESI – Qui il discorso si inizia a complicare. Queste ostriche hanno l’etichetta di essere la varietà più apprezzata al mondo, oltre al titolo di fedele compagne delle migliori coppe di Champagne. Sono diverse le zone francesi in cui è possibile trovare ostriche di alto livello: Aquitania, Normandia, Corsica, Linguadoca e Vandea. Ma il mare che può vantare le migliori ostriche è l’Atlantico dell’area francese, soprattutto in Bretagna e nel Merrennes-Oléron.
Per saperne di più sulle ostriche francesi e sulle diverse tipologie, clicca qui per continuare questo incredibile viaggio all’insegna della scoperta!
Alla scoperta del mondo delle ostriche
Presente da 150 milioni di anni sul nostro pianeta, l’ostrica può essere considerata come “la regina dei molluschi”.
Tale fama, per questa materia prima, non deve essere una sorpresa.
Proprio per questa ragione, noi dello staff di ilovetartare vogliamo accompagnarvi alla scoperta del mondo delle ostriche attraverso un unico fil rouge.
Vi racconteremo la storia dei molluschi bivalvi dalla conchiglia tondeggiante, partendo dalle origini fino ai giorni nostri. Pensate che gli antichi Greci ritenevano l’ostrica un potente afrodisiaco. I Romani, invece, si spingevano sino alle coste della Bretagna alla scoperta del mondo delle ostriche.
Analizzeremo insieme le caratteristiche del prodotto, la sua anatomia e le differenti specie. Di quest’ultime, solo in Europa, se ne contano più di 200.

Tanto spazio sarà dedicato anche alla curiosità. Lo sapete che mangiando solo 100 g di ostriche otteniamo metà del nostro fabbisogno calorico quotidiano?
A tal proposito, dedicheremo anche un focus speciale al settore del food and beverage: come aprire un’ostrica e come esaltare il suo gusto con abbinamenti di cibi e bevande.
Ma per apprezzare la regina dei molluschi, bisogna anche conoscere chi sono i suoi cavalieri. Parleremo della figura dell’ostricaio e di come sia cambiata nel corso del tempo contestualizzandola nell’epoca contemporanea. Vi sveliamo sin da subito un aneddoto: a Napoli, terra di mare, i punti di vendita delle ostriche erano dipinti di verde, giallo o nero. La ragione? Per essere più visibili e facilmente individuabili dai cittadini ma anche dai turisti!
Vi appassioneremo così tanto alle ostriche che presto vorrete saperne sempre di più sull’ostricoltura,
pratica dell’acquacoltura che prevede l’allevamento delle ostriche per il consumo umano.
Il nostro obiettivo è quello di farvi conoscere il mondo delle ostriche per poi esaltare le vostre esperienze sensoriali.
Ma non vogliamo svelarvi altro, prendete questi spunti come un punto di partenza, anzi, come un aperitivo di quello che sarà il nostro lungo viaggio alla scoperta del mondo delle ostriche.
La storia delle ostriche
Nell’antichità il banchetto determinava una funzione di appartenenza a un gruppo sociale e la sua dimensione rituale era di conseguenza costitutiva per l’identità stessa del gruppo. In questo contesto, fondamentali erano l’amicizia, l’amore, la gioia e il piacere. E quando si parla di piaceri, i peccati di gola sono i veri protagonisti. Tra le materie prime di maggior spicco c’era…indovinate un po’? L’ostrica.
Noi di ilovetartare vogliamo raccontarvi la storia delle ostriche nel corso dei millenni.
Il mondo greco
Le ostriche erano già apprezzate dai Greci e proprio dalla lingua greca deriva l’origine del loro nome: ὄστρακον, infatti, significa ‘conchiglia’. Sin dai racconti mitologici greci, i molluschi bivalvi sono stati presenti in ogni aspetto della società. Un esempio? I Greci utilizzavano i gusci anche per le votazioni pubbliche. Inoltre, l’ostrica fu associata ad Afrodite, divinità dell’amore che nacque dalla spuma delle acque marine. La leggenda vuole che la dea emerse dal mare sul dorso di un’ostrica per dare alla luce il figlio Eros. Ma le ostriche sono associate ad Afrodite soprattutto perché gli antichi attribuivano a tali materie prime dei poteri afrodisiaci, come per tutte le prelibatezze d’acqua salata.

La passione dei romani
I Romani, oltre ad essere dei grandi consumatori di ostriche, erano anche dei grandi esperti, così patiti ed appassionati da distinguere le diverse impercettibili sfumature di profumo e sapore tra un esemplare e un altro.
Lo scrittore Plinio il Vecchio, nei suoi testi, scriveva che: “Le Ostriche, nel tempo degli amori, si aprono quasi sbadigliassero, si riempiono di rugiada che le feconda e partoriscono perle…”.
In epoca romana le ostriche erano mangiate sia crude che cotte. La maggior parte provenivano dall’allevamento del Lago di Lucrino a Napoli e gestito da Sergio Orata che venne descritto da Varrone come uno dei primi ostricai che riuscì a ricavare una discreta fortuna. Ma i Romani giungevano anche sino alle coste della Bretagna per assicurarsi la presenza del prelibato mollusco nei numerosi banchetti.

L’età del buio
La storia delle ostriche subì una brusca frenata. Il consumo di ostriche cadde in disuso durante il Medioevo per poi tornare a splendere durante il Rinascimento. Di questo in realtà non c’è da stupirsi: la tipologia e il modo in cui viene consumato il cibo è una questione culturale e, si sa, il Medioevo è stato il decadimento della cultura stessa. Nonostante ciò, sono diverse le testimonianze che riportano la conservazione dei molluschi all’interno di botti riempite di sale.

L’influenza del mondo francese
In Francia erano il prodotto d’élite per i sovrani tanto che Francesco I, nel 1545, accordò a Cancale il titolo di “città”, in omaggio alle ostriche portatogli in dono dagli abitanti. Napoleone, il 4 luglio 1853, redisse un regolamento sulla pesca marittima costiera che creava una vera e propria legislazione riguardante l’ostrica: divenne così il primo atto di salvaguardia della specie. Nella seconda metà del 1800, il governo francese incoraggiò l’importazione delle ostriche per creare i primi allevamenti e intorno al 1970 apparirono in Francia le prime colture in soprelevazione che permisero di allevare un numero maggiore di ostriche. Oggi ci sono intere cittadine che hanno legato il proprio destino all’ostricoltura, come quelle di tutto il litorale della Bretagna.

L’Epoca Borbonica
All’epoca dei Borbone, il pesce era una materia prima onnipresente nelle tavole reali. Il mare di Napoli e Salerno offrivano dei veri doni per le papille gustative della royal family. In poco tempo, le ostriche e le perle, divennero protagoniste nel periodo in cui la famiglia Borbone visse nel territorio campano. Poco distante da Partenope, si trova il Lago Fusaro, considerato come un tratto di mare circoscritto tra Cuma e Torregaveta. Nel 1752 l’area del Fusaro divenne la riserva di caccia e pesca dei Borbone. Ma solo con Ferdinando IV i lavori terminarono portando alla nascita della ‘Casina Vanvitelliana‘, iniziata da Luigi Vanvitelli e terminata dal figlio: Carlo Vanvitelli, nel 1782 realizzò il Casino Reale di Caccia sul lago, a breve distanza dalla riva. La villetta, dallo splendido fascino, divenne un luogo di riposo ma anche di feste e fu utilizzato come base operativa per l’ostricoltura. In pochi anni le ostriche del Fusaro iniziarono a essere esportate in tutto il continente, guadagnandosi la fama di essere tra le più buone d’Europa.

Ostriche a stelle e strisce
Da cibo della classe operaia a prelibatezza costosa. All’inizio del XIX secolo, le ostriche erano economiche e mangiate principalmente dalla classe operaia. In seguito, i banchi di ostriche nel porto di New York divennero la più grande fonte di tutto il mondo. In qualsiasi giorno, si potevano trovare sei milioni di ostriche sulle chiatte ormeggiate presso il lungomare della città. Le ostriche erano naturalmente molto popolari a New York City e aiutarono ad avviare il commercio dei ristoranti della città. Gli ostricoltori di New York divennero abili allevatori, fornendo lavoro a centinaia di persone e cibo nutriente a migliaia di famiglie. Alla fine, la crescente domanda esaurì le scorte necessarie. Per aumentare la produzione, vennero introdotte specie estranee, spesso portatrici di malattie, che distrussero la maggior parte degli allevamenti all’inizio del XX secolo. La popolarità delle ostriche aveva però posto una domanda sempre crescente negli stock di ostriche selvatiche che portò ad un aumento di prezzi, data la mancanza del prodotto, convertendoli dal loro ruolo originale di cibo della classe operaia al loro stato attuale di prelibatezza costosa.

La storia delle ostriche non finisce di certo qui. Seguiteci nei prossimi articoli per saperne di più!
La tradizione delle ostriche in Campania
Prosegue il nostro viaggio alla scoperta del mondo delle ostriche. Oggi, noi di ilovetartare.com, vogliamo raccontarvi la storia che unisce le nostre amate ostriche alla Campania. Sì, lo sappiamo, la Francia è considerata la madre del mondo ostricaio ma anche le nostre terre (anzi, laghi) possono vantare una tradizione di tutto rispetto. In Campania, i Romani furono i pionieri dell’ostricoltura ma i Borbone rivoluzionarono la tecnica ottimizzando le risorse che la natura gli aveva messo a disposizione.
Scopriamo insieme la tradizione delle ostriche in Campania!
L’incipit romano
Nei Campi Flegrei, presso Baia, si trova un lago dalla lunga storia e tradizione. Parliamo del Lago di Lucrino. In passato, il lago era di dimensioni maggiori ed era separato dal mare soltanto da una sottile lingua di sabbia. Secondo la leggenda, per la laguna salata, passò anche Ercole intento a condurre i buoi di Gerione in una delle sue celebri fatiche. Lo specchio d’acqua divenne così una tappa della Via Herculea.
Un altro illustre personaggio che tocco le sponde del lago fu Gaio Sergio Orata. Il suo cognome gli fu attribuito per la sua precisione nel vantare la bontà delle orate, ovviamente allevate da lui, come racconta Macrobio; ma secondo altri il “titolo” gli derivò dalla sua abitudine di indossare vistosi anelli d’oro.
All’epoca, Orata creò un allevamento di pesci e di ostriche, divenendo uno dei più grandi ostricoltori di tutti i tempi. La sua attività lo arricchì e la sua fama crebbe così tanto che anche Plinio il Vecchio riportò le sue gesta nella Naturalis Historia: “Sergio Orata fu il primo in assoluto che ideò nella sua residenza di Baia dei vivai per le ostriche, al tempo dell’oratore Licinio Crasso, prima della guerra contro i Marsi; spinto non tanto dalla gola quanto dalla sua brama di denaro, poiché sapeva trarre dal suo fertile ingegno grossi profitti (…). Lui per primo ottenne un ottimo sapore dalle ostriche del Lago Lucrino, poiché gli animali acquatici, anche se sono della stessa specie, sono migliori o peggiori a seconda del luogo in cui vengono catturati.”
Orata fu uno di quei leggendari bon vivants del mondo romano, ovvero un devoto al lusso e ai peccati di gola. I suoi festini, a cui erano invitati ospiti illustri, erano a base di ostriche e vino. Si racconta che questi durassero un giorno e una notte. I Romani, buongustai sin dall’antichità, avevano una così forte passione per le ostriche che mangiavano sia crudi che cotti e adoravano accompagnarle con il garum. Ma cos’è il garum? Vi starete chiedendo. Si tratta di una salsa liquida a base di interiora di pesce e aggiunta di pesce salato che gli antichi Romani utilizzavano come condimento a molti primi e secondi piatti. Famoso è l’epigramma di Marziale Ostrea: “Eccomi arrivata, conchiglia ebbra delle acque del Lucrino presso Baia. Ora, da amante del lusso, ho sete del prezioso garum”.
Tornando a Sergio Orata, egli aveva importato le ostriche da Brindisi per avviarne la coltivazione nel Lucrino. Ideò delle tecniche di coltura, alcune delle quali sono tuttora utilizzate in Francia, ad esempio: si serviva di tegole spalmate di calce e sabbia che ospitavano il raggruppamento delle ostriche e venivano disposte sul fondo marino o su impalcature in legno. Un’altra tecnica era quella di praticare un minuscolo foro sul guscio delle ostriche ancora piccole e unirle in serti che poi venivano appesi a pali di legno infissi nell’acqua.
Tra i fan delle ostriche nel mondo romano, non possiamo non citare Nerone, del quale Giovenale afferma che sapeva dire al primo assaggio se un’ostrica provenisse da Lucrino, da Circeo o da altri luoghi, oppure il nome di Vitellio, del quale si racconta che mangiasse ostriche quattro volte al giorno: c’è chi racconta che riuscisse a mangiare 1200 ostriche in un solo giorno.
Ma come è proseguita la tradizione delle ostriche in Campania?

Luci ed ombre, il periodo di transizione
Lo scenario di Baia, nel corso del tempo, si arricchì di coltivazioni di ostriche. Divenne un punto strategico e talmente tipico da essere fonte d’ispirazione per i souvenir dell’area dei Campi Flegrei. Spesso si trovavano fiaschette di vetro che raffiguravano vedute dal mare della costa di Baia e delle prime ostriarie, luoghi adibiti al consumo dei molluschi bivalvi. Diversi reperti, che testimonio la popolarità della zona, sono stati trovati ritrovati a Populonia, Ampurias e Varsavia.
Col tempo, il Lucrino si degradò e si ridimensionò, perdendo le fruttifere prerogative dalle quali pare traesse il nome (lucrum, in latino, significa per l’appunto ‘profitto’). In seguito, nella notte tra il 28 e il 29 settembre del 1538, avvenne l’eruzione vulcanica che portò alla repentina formazione del Monte Nuovo, con conseguente sparizione di buona parte dello specchio d’acqua.
Ma proseguiamo il nostro viaggio verso la scoperta della tradizione del mondo delle ostriche in Campania.
La rinascita borbonica
Carlo III nel 1752 acquistò il lago Fusaro, dalla Real Casa dell’Annunziata, per farne una riserva di caccia e pesca. Dopo una dozzina di anni, Ferdinando IV di Borbone, ripristinò la coltura delle ostriche nelle acque del Fusaro. Il processo non fu breve. Occorsero bonifiche e opere tese a bilanciare il rapporto tra acqua dolce e salata nel lago ed a favorire il ricambio delle acque, creando strutture per la coltura. Il risultato però, ne valse la pena.
Il naturalista Maurice Coste, visitò la zona nel 1853-54, per volontà del governo francese. Lo scopo era quello di studiare i fiorenti allevamenti di ostriche dei Borboni. Il naturalista osservò, studiò e comprese che quelle tecniche, in buona parte ereditate dagli antichi Romani, andavano applicate anche lungo le coste atlantiche del suo paese. Arnould Locard, naturalista francese, riportò le descrizioni del collega Coste all’interno del suo Manuel pratique d’ostréiculture: “Su tutta la superficie del lago si vedono di tratto in tratto degli spazi, di solito circolari, occupati da pietre che vi sono state trasportate. Queste pietre simulano delle sorte di rocce che sono state ricoperte di ostriche di Taranto, in modo da trasformare ciascuna di esse in un banco artificiale (…). Intorno a ciascuna di queste rocce artificiali, in genere di due-tre metri di diametro, sono stati piantati dei pali molto vicini l’uno all’altro, in modo da delimitare lo spazio entro il quale si trovano le ostriche. Questi pali affiorano leggermente dall’acqua, così che si possa facilmente afferrarli e sollevarli quando è necessario”. Bisogna aggiungere che altri pali disposti in file sostenevano delle corde (chiamate “libani”) alle quali si appendevano dei “fagotti” di legno in cui si annidavano le uova. Nel 1872, grazie a Ferdinando IV, il Fusaro si presentava come un luogo magico: si poteva ammirare la Casina Vanvitelliana e di fronte ad essa la villa Ostrichina – potete immaginare l’origine di tal nome.

Cosa ne è dei Campi Flegrei oggi? Baia ospita uno dei maggiori stabilimenti nazionali di depurazione dei molluschi: l’I.R.SV.E.M.
Ma l’allevamento delle cozze ha soppiantato quello delle ostriche. Seppure i buongustai facoltosi si rivolgano alla Francia, solo in pochi sanno che il successo dei nostri cugini deriva dai romani e dalla nostra Campania.
Insomma, la tradizione delle ostriche in Campania ha fatto scuola nel corso dei secoli!