La tradizione delle ostriche in Campania
Prosegue il nostro viaggio alla scoperta del mondo delle ostriche. Oggi, noi di ilovetartare.com, vogliamo raccontarvi la storia che unisce le nostre amate ostriche alla Campania. Sì, lo sappiamo, la Francia è considerata la madre del mondo ostricaio ma anche le nostre terre (anzi, laghi) possono vantare una tradizione di tutto rispetto. In Campania, i Romani furono i pionieri dell’ostricoltura ma i Borbone rivoluzionarono la tecnica ottimizzando le risorse che la natura gli aveva messo a disposizione.
Scopriamo insieme la tradizione delle ostriche in Campania!
L’incipit romano
Nei Campi Flegrei, presso Baia, si trova un lago dalla lunga storia e tradizione. Parliamo del Lago di Lucrino. In passato, il lago era di dimensioni maggiori ed era separato dal mare soltanto da una sottile lingua di sabbia. Secondo la leggenda, per la laguna salata, passò anche Ercole intento a condurre i buoi di Gerione in una delle sue celebri fatiche. Lo specchio d’acqua divenne così una tappa della Via Herculea.
Un altro illustre personaggio che tocco le sponde del lago fu Gaio Sergio Orata. Il suo cognome gli fu attribuito per la sua precisione nel vantare la bontà delle orate, ovviamente allevate da lui, come racconta Macrobio; ma secondo altri il “titolo” gli derivò dalla sua abitudine di indossare vistosi anelli d’oro.
All’epoca, Orata creò un allevamento di pesci e di ostriche, divenendo uno dei più grandi ostricoltori di tutti i tempi. La sua attività lo arricchì e la sua fama crebbe così tanto che anche Plinio il Vecchio riportò le sue gesta nella Naturalis Historia: “Sergio Orata fu il primo in assoluto che ideò nella sua residenza di Baia dei vivai per le ostriche, al tempo dell’oratore Licinio Crasso, prima della guerra contro i Marsi; spinto non tanto dalla gola quanto dalla sua brama di denaro, poiché sapeva trarre dal suo fertile ingegno grossi profitti (…). Lui per primo ottenne un ottimo sapore dalle ostriche del Lago Lucrino, poiché gli animali acquatici, anche se sono della stessa specie, sono migliori o peggiori a seconda del luogo in cui vengono catturati.”
Orata fu uno di quei leggendari bon vivants del mondo romano, ovvero un devoto al lusso e ai peccati di gola. I suoi festini, a cui erano invitati ospiti illustri, erano a base di ostriche e vino. Si racconta che questi durassero un giorno e una notte. I Romani, buongustai sin dall’antichità, avevano una così forte passione per le ostriche che mangiavano sia crudi che cotti e adoravano accompagnarle con il garum. Ma cos’è il garum? Vi starete chiedendo. Si tratta di una salsa liquida a base di interiora di pesce e aggiunta di pesce salato che gli antichi Romani utilizzavano come condimento a molti primi e secondi piatti. Famoso è l’epigramma di Marziale Ostrea: “Eccomi arrivata, conchiglia ebbra delle acque del Lucrino presso Baia. Ora, da amante del lusso, ho sete del prezioso garum”.
Tornando a Sergio Orata, egli aveva importato le ostriche da Brindisi per avviarne la coltivazione nel Lucrino. Ideò delle tecniche di coltura, alcune delle quali sono tuttora utilizzate in Francia, ad esempio: si serviva di tegole spalmate di calce e sabbia che ospitavano il raggruppamento delle ostriche e venivano disposte sul fondo marino o su impalcature in legno. Un’altra tecnica era quella di praticare un minuscolo foro sul guscio delle ostriche ancora piccole e unirle in serti che poi venivano appesi a pali di legno infissi nell’acqua.
Tra i fan delle ostriche nel mondo romano, non possiamo non citare Nerone, del quale Giovenale afferma che sapeva dire al primo assaggio se un’ostrica provenisse da Lucrino, da Circeo o da altri luoghi, oppure il nome di Vitellio, del quale si racconta che mangiasse ostriche quattro volte al giorno: c’è chi racconta che riuscisse a mangiare 1200 ostriche in un solo giorno.
Ma come è proseguita la tradizione delle ostriche in Campania?

Luci ed ombre, il periodo di transizione
Lo scenario di Baia, nel corso del tempo, si arricchì di coltivazioni di ostriche. Divenne un punto strategico e talmente tipico da essere fonte d’ispirazione per i souvenir dell’area dei Campi Flegrei. Spesso si trovavano fiaschette di vetro che raffiguravano vedute dal mare della costa di Baia e delle prime ostriarie, luoghi adibiti al consumo dei molluschi bivalvi. Diversi reperti, che testimonio la popolarità della zona, sono stati trovati ritrovati a Populonia, Ampurias e Varsavia.
Col tempo, il Lucrino si degradò e si ridimensionò, perdendo le fruttifere prerogative dalle quali pare traesse il nome (lucrum, in latino, significa per l’appunto ‘profitto’). In seguito, nella notte tra il 28 e il 29 settembre del 1538, avvenne l’eruzione vulcanica che portò alla repentina formazione del Monte Nuovo, con conseguente sparizione di buona parte dello specchio d’acqua.
Ma proseguiamo il nostro viaggio verso la scoperta della tradizione del mondo delle ostriche in Campania.
La rinascita borbonica
Carlo III nel 1752 acquistò il lago Fusaro, dalla Real Casa dell’Annunziata, per farne una riserva di caccia e pesca. Dopo una dozzina di anni, Ferdinando IV di Borbone, ripristinò la coltura delle ostriche nelle acque del Fusaro. Il processo non fu breve. Occorsero bonifiche e opere tese a bilanciare il rapporto tra acqua dolce e salata nel lago ed a favorire il ricambio delle acque, creando strutture per la coltura. Il risultato però, ne valse la pena.
Il naturalista Maurice Coste, visitò la zona nel 1853-54, per volontà del governo francese. Lo scopo era quello di studiare i fiorenti allevamenti di ostriche dei Borboni. Il naturalista osservò, studiò e comprese che quelle tecniche, in buona parte ereditate dagli antichi Romani, andavano applicate anche lungo le coste atlantiche del suo paese. Arnould Locard, naturalista francese, riportò le descrizioni del collega Coste all’interno del suo Manuel pratique d’ostréiculture: “Su tutta la superficie del lago si vedono di tratto in tratto degli spazi, di solito circolari, occupati da pietre che vi sono state trasportate. Queste pietre simulano delle sorte di rocce che sono state ricoperte di ostriche di Taranto, in modo da trasformare ciascuna di esse in un banco artificiale (…). Intorno a ciascuna di queste rocce artificiali, in genere di due-tre metri di diametro, sono stati piantati dei pali molto vicini l’uno all’altro, in modo da delimitare lo spazio entro il quale si trovano le ostriche. Questi pali affiorano leggermente dall’acqua, così che si possa facilmente afferrarli e sollevarli quando è necessario”. Bisogna aggiungere che altri pali disposti in file sostenevano delle corde (chiamate “libani”) alle quali si appendevano dei “fagotti” di legno in cui si annidavano le uova. Nel 1872, grazie a Ferdinando IV, il Fusaro si presentava come un luogo magico: si poteva ammirare la Casina Vanvitelliana e di fronte ad essa la villa Ostrichina – potete immaginare l’origine di tal nome.

Cosa ne è dei Campi Flegrei oggi? Baia ospita uno dei maggiori stabilimenti nazionali di depurazione dei molluschi: l’I.R.SV.E.M.
Ma l’allevamento delle cozze ha soppiantato quello delle ostriche. Seppure i buongustai facoltosi si rivolgano alla Francia, solo in pochi sanno che il successo dei nostri cugini deriva dai romani e dalla nostra Campania.
Insomma, la tradizione delle ostriche in Campania ha fatto scuola nel corso dei secoli!